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BiH: da grandi giocatori a grande squadra

Nicola Minasi

 

Sono sempre stato pessimo nel calcio, ma come italiano e come osservatore degli sviluppi politici nel tempo ho imparato ad analizzare sempre meglio i collegamenti tra il calcio e la società. Per molti analisti lo sport è un indicatore affidabile del carattere nazionale ed un’intera corrente di ricerca si è sviluppata sul calcio nei Balcani. Gli scienziati sociali si sono concentrati sia sul ruolo delle tifoserie nella mobilizzazione della violenza negli anni Novanta, sia sulle connessioni tra calcio e sfaldamento della Jugoslavia. Un giornalista italiano ci ha pure scritto un libro(Gigi Riva, “L’ultimo rigore di Faruk”, sul rigore sbagliato da Faruk Hadžibegić, il capitano sarajevese della squadra jugoslava, ai quarti di finale di Italia90).

Guardando la nazionale della Bosnia Erzegovina negli ultimi incontri con l’Italia, l’Olanda e in particolare contro l’Irlanda del Nord, nella sfortunata partita di Euro2020, non ho potuto fare a meno di cercare dei paralleli con la politica nazionale. Com’è possibile, mi sono chiesto, che una squadra con giocatori così forti, voluti dai migliori club europei, non riesca a creare uno spirito vincente?

La domanda riguarda anche le relazioni tra la Bosnia Erzegovina e la diaspora. Giocatori come Džeko, Pjanić, Krunić e Lulić (per citare solo quelli di recente successo in Italia) sono esempi dei migliori elementi che lasciano il paese, cercando fortuna altrove. Questo è buono per loro e per l’immagine della Bosnia Erzegovina all’estero, ma come mai una volta tornati non riescono ad avere gli stessi successi? Cosa manca? Il paradosso mostra i rischi di un’integrazione europea senza le riforme necessarie: se la Bosnia Erzegovina entrasse domani nell’UE i migliori giocatori partirebbero subito, ma poi chi investirebbe nelle nuove leve? Lo stesso principio si può applicare alle scuole, alle imprese, alle università…

Se c’è una lezione che il calcio può dare è che una squadra è più dei suoi “giocatori costituenti”. Una squadra è più delle undici persone sul terreno, con l’allenatore e la panchina. Una squadra di successo è prima di tutto un gruppo di persone con la fiducia di potere riuscire e di potere imparare dai propri errori per generare la volontà di continuare a provare.

Questo ruolo unificatore, senza dubbio, tocca all’allenatore e, nel caso di paesi, ai capi nazionali. La Bosnia Erzegovina è chiaramente una società multicentrica, con più tradizioni, che può prosperare solo quando i responsabili nazionali si accordano per fare la differenza a favore di tutti. Nessuna squadra può vincere solo con una buona difesa, o con un paio di grandi attaccanti, o con un forte centrocampo. La squadra vincente ha bisogno di armonia in tutte le parti del campo, i giocatori devono fidarsi e aiutarsi l’un l’altro. Questo è il vero ruolo di un capo: di permettere a chi lo segue di dare il meglio di sé per il beneficio di tutto il gruppo. L’eccellenza individuale aiuta, ma senza un buon spirito di squadra non serve a niente.

Tutti sappiamo che ciò richiede buona volontà, capacità di ascoltare e negoziare e, più di tutto, visione. La strada è chiara: la Bosnia Erzegovina ha i talenti giusti, un gran cuore, generazioni giovani e brillanti e grandi tornei a cui partecipare. Sono i capi che devono sapere mobilizzare le energie verso un bene comune, il solo in grado di assicurare il benessere di ogni singolo cittadino.

Dividere è sempre più facile che unire e nel breve periodo chi divide appare addirittura più forte e capace. Tuttavia dopo un po’ questo produce sconfitte per tutti e soprattutto per i propri seguaci.

Alle prossime elezioni i responsabili della Bosnia Erzegovina ed i cittadini hanno una scelta: sostenere un obiettivo comunque di crescita e fiducia, più che mai necessario in tempi di pandemia e recessione, o ingannarsi e dirsi “siamo i migliori comunque, anche se perde la nazionale”.

Spero vivamente che i politici e gli elettori decidano di essere veri capi ed offrire ai loro figli nuove vittorie, le sole che possono creare l’orgoglio di vivere insieme ed incoraggiare nuovi sforzi da parte delle prossime, promettenti generazioni.